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Il mobbing tra il diritto penale e la psicologia
L’etimologia deriva dal verbo inglese “to mob”, che significa “attaccare, assalire”.
Nel 1984, esce la prima pubblicazione scientifica sull’argomento, a cura dello studioso svedese Heinz Leymann, che ha segnato il definitivo approdo di questo termine nel contesto lavorativo, con ciò intendendosi quella particolare forma di vessazione psicologica, il cui fine si rinviene nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro.
Oggi, una delle definizioni più accreditate è quella offerta da Harald Ege, psicologo del lavoro, che inquadra il fenomeno come “forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori, ripetuti da parte dei colleghi o superiori” per un periodo di tempo di almeno sei mesi.
Premesso che esistono diverse tipologie di mobbing, vediamo in concreto quali potrebbero essere i comportamenti ostili di cui parla la sopra citata sentenza.
Ad esempio, l’esclusione immotivata di un dipendente dalle riunioni o da altre attività aziendali; lo svuotamento ingiustificato delle mansioni; la realizzazione di battute pesanti, insulti o altri commenti ostili alla presenza dei colleghi di lavoro; la sottoposizione ad un carico di lavoro evidentemente eccessivo o ad accertamenti e verifiche costanti ed arbitrarie.
Come si può notare, si tratta di comportamenti fortemente vessatori ed umilianti per il lavoratore, atti a ledere la sua dignità personale e ad ottenerne l’estromissione dal posto di lavoro.
Il mobbing è un comportamento che può ritenersi sempre illegittimo, obbligando l’autore dello stesso a risarcire il danno subito dalla vittima. Le modalità per ottenere il risarcimento dei danni varieranno a seconda del tipo di responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) che il lavoratore vorrà far valere in giudizio. Ad esempio, il mobbing potrebbe essere qualificato in termini di inadempimento contrattuale, per avere il datore di lavoro violato l’obbligo di “adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087 c.c.).
In alcuni casi, questa condotta può assumere una vera e propria rilevanza penale, laddove risultino integrati gli estremi di un reato.
Sul punto, bisogna dire che non esiste lo specifico reato di “mobbing”; qualora, però, la condotta vessatoria assuma determinati connotati, la vittima di mobbing potrà sporgere una denuncia-querela, oltre ad agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
I reati che si possono verificare in queste ipotesi sono diversi, ma, per chiarezza espositiva, ci limiteremo a fare due soli esempi: il reato di lesioni personali e quello di stalking.
Nel 2018, un datore di lavoro veniva condannato per lesioni personali a danno di un proprio dipendente, per aver cagionato a quest’ultimo “una patologia psichiatrica, in seguito a comportamenti vessatori e persecutori, espressioni ingiuriose, pressioni per lo svolgimento dell’attività lavorativa e continue contestazioni disciplinari” (così è stato deciso dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 44890/2018).
Nel 2020, invece, altro datore di lavoro veniva condannato per stalking. In questo caso, la condotta “mobbizzante” si era realizzata attraverso “plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell’ambiente di lavoro”. In particolare, la condotta era consistita nell’impedire fisicamente al lavoratore di abbandonare l’ufficio e nel successivo licenziamento pretestuoso e ritorsivo (così è stato deciso dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 31273/2020).
Le vessazioni sul posto di lavoro possono compromettere gravemente la salute psicofisica del lavoratore. Il mobbing, infatti, comporta serie ricadute tanto sul piano fisico, quanto su quelli psicologico e sociale.
I sintomi più frequenti che si verificano in simili ipotesi sono disturbi d’ansia e attacchi di panico; stress sul posto di lavoro; isolamento sociale; sindrome da stress post-traumatico; disturbi psico-somatici; insonnia; calo della produttività lavorativa; depressione; irritabilità; pensieri persistenti di tipo paranoico. In alcuni casi, si assiste anche alla comparsa di vere e proprie ricadute sul fisico, quali stanchezza cronica, tachicardia, pressione alta, altri dolori ricorrenti. Evidente, inoltre, il forte impatto anche sui livelli di autostima e sicurezza personale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, nonostante il supporto di amici e familiari appaia fondamentale, può risultare decisivo in questi casi intraprendere una terapia specifica con uno psicologo, che abbia le competenze per aiutare le vittime di mobbing ad elaborare e superare il trauma subito.
Sotto il profilo legale, invece, abbiamo visto che il mobbing può assumere sfaccettature molto diverse, a ciascuna delle quali corrisponde una tutela legale specifica. Per questo, è necessario rivolgersi ad un avvocato che sia in grado di indirizzare la vittima di mobbing verso il percorso più adeguato a denunciare le vessazioni subite nel caso concreto.
Scritto con la collaborazione dell’Avvocato Alessandra Menenti (Tel. 371 4187168)
Luca Menenti (Psicologo Grottaferrata) riceve tutti i giorni presso lo studi di Roma (zona Talenti-Montesacro e zona Prati) e Grottaferrata.